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Tag: quaresima

III Domenica di Quaresima – 12 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Es 17, 3-7; Sal 94 (95); Rm 5, 1-2.5-8)

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 4, 5-42)

In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. 

Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 

Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.

Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».

Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 

Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: Io non ho marito. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 

Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 

Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 

Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 

La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?».

Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 

Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». 

Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni.

Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Riflettiamo insieme

Un orario: mezzogiorno, un luogo: il pozzo di Sicar, due persone: Gesù e una donna samaritana, sono questi gli ingredienti di un incontro che può trasformare la vita.

Recarsi a mezzogiorno al pozzo è sintomo di due cose: qualcosa da nascondere e un fortissimo disagio. La donna samaritana vive con malessere la sua condizione familiare, la percepisce come una rovina e quindi scappa dalla possibilità di incontrare le altre donne, dall’occasione di essere derisa, esponendosi alla pericolosità di andare ad un pozzo nelle ore più calde del giorno. Eppure è lì che Dio la aspetta: nel luogo più pericoloso, nel disaggio che deriva dal suo peccato Dio la attende per trasformargli la vita. Così dopo l’incontro non si nasconde più, anzi usa gli argomenti del suo peccato per farsi testimone della grandezza di quell’uomo incontrato. E lo fa al punto da divenire testimone autentica che trasmette agli altri la sua esperienza. 

Questo episodio del vangelo ci ricorda che non c’è peccato in cui non si possa trovare la mano di Dio disposta a rialzarci. 

Preghiamo insieme

Signore Gesù, donami la grazia di non sprofondare nella disperazione ma di saper riconoscere, nel dolore che mi affligge, quel gancio d’Amore che Tu hai preparato per trarmi dall’abisso del male. Amen. 

Sabato della II Settimana  di Quaresima – 11 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Mi 7, 14-15.18-20; Sal 102 (103))

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15, 1-3.11-32)

In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: 

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 

Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 

Allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati. 

Si alzò e tornò da suo padre. 

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. 

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. 

Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso. 

Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Riflettiamo insieme

Pare che tutti abbiamo da rimproverare qualcosa a Cristo. Lo consideriamo o troppo duro o troppo indulgente, troppo autoritario oppure poco presente. Anche i farisei trovano in lui qualcosa che non va loro giù: “accoglie i peccatori e mangia con loro”. Questo è il grande paradosso dell’uomo: bisognoso di essere salvato dal peccato e dalla morte, si ostina a non considerare che Dio possa essere incredibilmente vicino per farlo.

Gesù risponde con una meravigliosa parabola piena di contrasti: tristezza e gioia, fame e banchetto, festa e rancore, morte e vita. Contrasti che si trasformano in una realtà unitaria e unita che possiamo chiamare comunione. La quaresima, appunto, è il tempo favorevole per la conversione che non è altro che presentarci a Dio con la nostra miseria e sentire il fuoco del suo abbraccio, mettersi a mangiare con lui, osare mangiarlo: fare comunione.

Pare che tutti abbiamo da rinfacciare qualcosa a Cristo. Egli, incurante delle critiche che gli si muovono, ma preoccupato per la nostra felicità, va per la propria strada, quella della misericordia che unisce l’uomo al suo Dio Padre, anzi al suo Dio Papà.

Preghiamo insieme

Signore Gesù, nella tristezza del mio peccato e nella rabbia della mia sconfitta, donami di sperimentare la tua pace e la gioia riservata al figlio ritrovato, donami di sentirmi amato. Amen.

Venerdì della  II Settimana  di Quaresima – 10 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Gen 37, 3-4.12-13a.17b-28; Sal 104 (105))

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21, 33-43.45-46)

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:

«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.

Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.

Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.

Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».

Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.

Riflettiamo insieme

La fine dei contadini menzionata nel Vangelo di oggi non indica la “ripicca” che Dio può nutrire nei confronti di chi non Lo ascolta, bensì la naturale conseguenza del rifiuto del Suo amore. Il cristiano infatti sa che l’amore di Dio non è “uno tra i tanti”, ma è esso stesso l’amore vero e, per questa ragione, con la vita vera. Ecco perché il rigettarlo ci conduce alla morte.

Poniamoci prima di tutto questa domanda: lo amiamo perché abbiamo bisogno di Lui, oppure – com’è degno del vero amore – abbiamo bisogno di Lui perché lo amiamo?

E’ facile infatti ingannarci nel credere di amare il Signore, perseverando in questo abbaglio!

Questa pagina evangelica, allora, oltre al ricordarci che il Padre ci ha amati a tal punto da mandare il proprio Figlio Unigenito (ci siamo forse abituati a questa verità inaudita?), ci ricordi che non tutto ciò che chiamiamo “amore” è veramente tale. Perché disse bene sant’Agostino: “ogni amore o ascende o discende; (…) [perché] se è cattivo precipitiamo nell’abisso…”.

Preghiamo insieme

“Ti loderò, Signore, mio Dio, con tutto il cuore e darò gloria al tuo nome per sempre, perché grande con me è la tua misericordia: hai liberato la mia vita dal profondo degli inferi!” (Sal 86,12-13).

Giovedì della II Settimana  di Quaresima – 9 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Ger 17, 5-10; Sal 1)

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16, 19-31)

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:

«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.

Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 

E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Riflettiamo insieme

Tanto sfarzo, tanta chiusura. È la storia del ricco del vangelo e di ogni persona che rapito dalla ricchezza si chiude su se stesso e viene scaraventato nella menzogna. Lo sfarzo della ricchezza, infatti, fa credere di essere pieni, ma in realtà rende vuoti fino all’orlo. 

Luca ci racconta che fuori la porta di questo uomo ricco c’era un povero disgraziato: Lazzaro. Ed è qui che scopriamo un paradosso, la salvezza del ricco era fuori la porta, bastava aprirla e aiutare il povero. Il guaio di questo uomo sta nel fatto che nello sfarzo non solo non vede Lazzaro, ma perde di vista se stesso, la sua umanità, tanto da diventare un anonimo. 

Eppure in questa storia non prevale l’odio, ma l’indifferenza che è la conseguenza di un modo di vivere. Alla luce di ciò possiamo capire che non basta non fare del male a nessuno per sentirsi a posto, ma per vivere da risorti occorre che la nostra vita sia un bene per noi e per l’altro che ci è accanto. Apriamo dunque la porta, usciamo dal nostro egoismo.

Preghiamo insieme

Signore Gesù, donami la capacità di sfuggire alla tentazione dell’indifferenza, donami la capacità di aprire il mio cuore all’altro e di non chiuderlo per salvaguardare ricchezze che possono diventare amari veleni. Amen. 

Mercoledì della II Settimana  di Quaresima – 8 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Ger 18, 18-20; Sal 30 (31))

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 20, 17-28)

In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro:

 «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà».

Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno».

Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».

Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli.

Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Riflettiamo insieme

Spesso invidiamo chi ha potere e successo e pensiamo che la nostra vita potrà realizzarsi solo se riusciremo a ottenere la stessa visibilità. Il Vangelo ribalta le nostre idee e ci indica la strada della vera amicizia, il cammino in cui i rapporti tra noi possano crescere nella stima reciproca e nell’affetto sincero. 

Gesù si è umilmente rivestito della nostra umanità per mostrarci che la felicità desiderata dal nostro cuore si compie solo nell’incontro con il suo amore senza calcolo.

Preghiamo insieme

Gesù, mio Signore e mio re, tu che hai la tua vita in riscatto per molti, guidami oggi sulla via dell’umiltà e del servizio per il bene mio e di quanti oggi incontrerò. Ti offro tutte le mie azioni di oggi perché possa conoscere cosa è la vera felicità. Amen.

Martedì della II Settimana  di Quaresima – 7 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Is 1,10.16-20; Sal 49 (50))

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 23, 1-12)

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:

«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate padre nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.

Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Riflettiamo insieme

Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere… Gesù è schietto: c’è un problema di testimonianza, di coerenza, di concordanza tra ciò che viene insegnato da scribi e farisei e ciò che loro stessi praticano. È il rischio dell’ipocrisia religiosa: una malattia a cui tutti siamo esposti e da cui tutti dobbiamo fuggire.

Gesù ci invita ad un cambio radicale di pensiero: anche se il loro agire non è coerente con ciò che predicano, voi, praticate e osservate tutto ciò che dicono. Tante volte ci giustifichiamo dicendo: se non lo fa lui/lei che è… perché dovrei farlo io! Ecco, Gesù va contro questo pensiero malvagio, contro questa giustificazione che ci immette nella stessa via peccatrice di chi dice e non fa. Si tratta di rompere la struttura di peccato mantenendo la comunione con Dio, anche quando ci sarebbero mille scuse per fare il contrario. Si tratta di recuperare il fondamento e la motivazione del mio essere e agire da cristiano: non “faccio perché gli altri mi lodino ma perché questo è il mio modo di amore Dio. 

Preghiamo insieme

Signore Gesù, donami la capacità di non trovare giustificazioni al mio peccato ma di chiamarlo con il suo vero nome così da sfuggirgli e rimanere sempre in comunione con Te. Amen. 

Lunedì della II Settimana  di Quaresima – 6 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Dn 9, 4b-10; Sal 78 (79))

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 6, 36-38)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 

«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.

Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Riflettiamo insieme

La Quaresima liturgicamente viene definita “tempo forte”, cioè tempo in cui avere il coraggio per vivere l’annuncio essenziale del Vangelo: il Padre ha il cuore aperto al misero e anche noi dobbiamo averlo!

La nostra fragilità ci scoraggia di fronte a questo imperativo. E pensare che solo un’autentica esperienza della misericordia per la nostra fragile umanità può diventare il trampolino affinché iniziamo a vivere veramente, senza nasconderci dietro il giudicare, il puntare dito, il condannare. Siamo anche chiamati a dare, perché Cristo si è dato completamente a noi sulla Croce: e dare significa donarsi con generosità, cioè generare amore con l’amore; ciò implica anche consegnare e consegnarsi, mettendo il sigillo del “insieme per sempre” alla nostra relazione con Lui e con i fratelli. Dare vuol dire anche affidarsi, cioè offrire la nostra vita a Colui che per primo si è fidato di noi, e dando a nostra volta la vita per il prossimo, fidandoci di lui e abbandonando la cultura dell’eterno sospetto. Con Dio tutto questo è possibile se si accetta che quello che Egli ha preparato per noi è la misura sovrabbondante della sua tenerezza.

Preghiamo insieme

Signore Gesù, che mi hai rivelato il cuore misericordioso del Padre, donami di saper amare, di sapermi fidare di Te, abbandonando la cultura di morte che vuole allontanarmi da Te. Ame.

II Domenica di Quaresima – 05 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Gen 12, 1-4a; Sal 32 (33); 2Tm 1, 8b-10)

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 17, 1-9)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.

Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».

All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Riflettiamo insieme

Nel ricordo della trasfigurazione di Gesù possiamo fare nostro un principio contenuto ne “L’imitazione di Cristo”secondo cui molti di noi cercano le consolazioni di Dio e non il Dio delle consolazioni. Dopotutto la richiesta di san Pietro è spesso anche la nostra, ma il Vangelo di oggi ci ricorda e ci vuole educare a quello che sant’Agostino riassunse con queste parole: “Chi ricusa la via non cerca la patria”.

Ebbene, se nell’amore vero e perfetto è connaturale un desiderio di fusione con la persona amata, ciò valga anche (anzitutto!) per Gesù: l’ascolto di cui parla il Padre è vero solo se ci porta ad una ricerca più incondizionata del Figlio di Dio. E scopriremo – parafrasando il grande Benedetto XVI – quanto valga la pena fidarci della Sua parola più di tutta quanta la nostra esperienza. Comprenderemo quanto anche ciò che di per sé non è volontà di Dio (la sofferenza, il peccato…) concorra realmente al bene di coloro che amano il Signore e sono chiamati secondo il Suo disegno (cfr. Rm 8,28).

Preghiamo insieme

Gesù, donami di comprendere che l’amore perfetto scaccia ogni paura (cfr. 1Gv 4,18) e infondi nel mio cuore una piena, assoluta e costante fiducia in Te!

Sabato della I Settimana  di Quaresima – 4 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Dt 26, 16-19; Sal 118 (119))

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,43-48)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.

Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?

Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Riflettiamo insieme

Avete inteso che fu detto…”. È dalla nascita che ci sono state dette tante cose e queste ci hanno formato ed educato, hanno inciso sulla nostra identità e sulla nostra storia tanto da diventare per noi cose normali e giuste. Ma il verbo “intendere” va a braccetto con “fraintendere” e la linea di confine tra i due è molto sottile. Abbiamo inteso che occorre amare, ma fino ad un certo punto e non ci siamo resi conto che in questo modo abbiamo frainteso, perché abbiamo creduto che odiare possa essere un bene. Ed è così che siamo cresciuti. 

Gesù, non solo ci dice di amare i nemici, ma addirittura di pregare per quelli che ci perseguitano e il motivo è molto semplice perché ha a che fare con la nostra appartenenza. Siamo figli di Dio padre e in qualche modo siamo chiamati a mostrare il nostro essere immagine e somiglianza di Lui che non fa preferenza alcuna nell’amare. Sta qui la perfezione: prendere coscienza di ciò che siamo e mostrare la somiglianza con Dio nonostante la nostra storia.

Preghiamo insieme

Signore Gesù, aiutami a riscoprirmi figlio di Dio, fatto a sua immagine, e membro della Chiesa. Aiutami a fuggire dal pericolo dell’incomprensione e donami la forza necessaria per tendere l’orecchio sempre alla tua Parola così da intendere la vita secondo il tuo progetto d’amore. Amen. 

Venerdì della I Settimana  di Quaresima – 3 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Ez 18, 21-28; Sal 129 (130))

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5, 20-26)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: Stupido, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: Pazzo, sarà destinato al fuoco della Geènna.

Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.

Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».

Riflettiamo insieme

Ci sarà capitato di dire pazzo o stupido a qualcuno e non aver dato troppo peso a queste parole, ma se le sentiamo rivolte a noi probabilmente comprendiamo meglio la ripercussione che simili giudizi possano avere nel fratello, scopriamo in noi rancore e risentimento per ciò che ci è stato detto. 

Gesù non condanna le nostre debolezze, ma al tempo stesso ci aiuta a guardare con più verità ciò che contiene il nostro cuore e ci indica passi di riconciliazione, qualora avessimo espresso tali giudizi.

Preghiamo insieme

Signore Gesù,  tu vuoi insegnarci ad amare veramente e desideri estirpare dal nostro cuore ogni germoglio di falsità. Liberaci da ogni ipocrisia e dalla maschera di un perbenismo apparente. Purifica il nostro cuore, i nostri pensieri, le nostre parole e ogni nostro gesto, perché tutto di noi possa parlare di te. Amen.