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Tag: Francesco di Paola

II. PADRE NELL’ACCOGLIENZA – 1 parte

Torniamo a riflettere sulle figure di come San Giuseppe e San Francesco e come possano essere di ispirazione grazie al titolo “Padre nell’accoglienza”. Seguono i link per rileggere le precedenti riflessioni:

  1. https://www.madonnadelmiracolo.it/come-due-binari-paralleli-e-concordi/
  2. https://www.madonnadelmiracolo.it/padre-nellobbedienza-1-parte/
  3. https://www.madonnadelmiracolo.it/padre-nellobbedienza-2-parte/

La svolta è quando si passa dalla cupidigia all’offerta

Il secondo spunto di riflessione, che ci viene offerto dalla Lettera Apostolica Patris Corde, è “Padre nell’accoglienza”, tema che, in qualche modo, ci aiuta a rinforzare i concetti che già abbiamo tracciato nell’obbedienza. Papa Francesco, infatti, ci presenta San Giuseppe sotto un aspetto che assume due dimensioni: in primo luogo quello dell’accoglienza di Dio e successivamente quello dell’accoglienza del prossimo. 

Giuseppe fu uomo dell’accoglienza perché seppe ricevere con benevolenza anche ciò che non riuscì a comprendere immediatamente (Patris Corde, 4). Si aprì all’ignoto basandosi sulla fiducia in Chi quell’ignoto lo proponeva, seguendo così l’esempio dei suoi Padri: Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè ecc. Ai normali sentimenti di delusione, ribellione o ancora di turbamento, egli contrappose un atteggiamento “nuovo”, l’atteggiamento di colui che non preclude nulla alla propria vita perché la riconosce anzitutto strumento nelle mani di un Altro e non esclusivo possedimento di cui godere e disporre come meglio gli aggrada. 

La svolta nella vita avviene proprio quando si passa dalla cupidigia all’offerta della propria esistenza. Tutto cambia quando dal “perché?” si passa al “per chi?” della propria esperienza e così facendo ci si riconosce strumenti per la salvezza degli altri[1]. Se sono strumento per te, allora non posso fare altro che accoglierti e accogliere il progetto che insieme ci coinvolge.

Ci dice Papa Francesco che Giuseppe seppe accogliere e riconciliare anzitutto la propria storia così da poter aprirsi a qualcosa che lentamente gli si andava rivelando. Il tema dell’accoglienza e della riconciliazione sono necessariamente collegati tra loro. Egli «non è un uomo rassegnato passivamente»[2] bensì con la sua accoglienza manifesta la docilità e «il dono della fortezza che ci viene dallo Spirito Santo. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte contraddittoria, inaspettata, deludente dell’esistenza»[3]

Dobbiamo quindi cancellare dalla nostra mente l’idea di un San Giuseppe che subisce incondizionatamente senza avere il coraggio di ribellarsi a Dio per far valere il suo pensiero, per far spazio alla figura di un San Giuseppe “attento ai segni dei tempi[4], attento alla voce dello Spirito, disposto ad accogliere perché altrettanto disposto a servire anche in modi a lui sconosciuti. 

Vi è poi un altro aspetto dell’accoglienza che ci viene proposto ed è quello relativo al prossimo. Umanamente parlando sappiamo quanto sia difficile l’accoglienza del prossimo, sia di quello nostro conterraneo sia di quello straniero. 

L’accoglienza del prossimo in qualche modo mette in discussione la nostra capacità di saperci “governare”. Soltanto chi è capace di gestire se stesso – con le proprie emozioni, desideri e paure – è altrettanto capace di aprirsi all’accoglienza dell’altro che giungendo porterà necessariamente quelli che sono i suoi progetti, le sue ansie e le sue aspettative. Forse proprio per questa sua difficoltà, l’accoglienza è il sintomo più eloquente e espressivo di chi sa veramente amare.

Siamo abituati a vedere come simbolo dell’accoglienza la figura della donna in gravidanza e, per chi è religioso, l’emblema per eccellenza è la Vergine Maria in attesa del Redentore. La donna che aspetta un bambino e lo ama infinitamente è in grado di annientare se stessa nell’intento di accogliere al meglio quella vita “straniera” che si fa spazio nel suo grembo. È capace di modificare le proprie abitudini e di rinunciare a ciò che più le aggrada al fine di disporre il proprio corpo come ambiente sano e propizio alla nascente vita. Oggi riscopriamo, grazie a San Giuseppe, che anche l’uomo può manifestare la medesima capacità e disposizione di accoglienza e di amore. Certamente non in modo fisico, così come Dio ha concesso alla donna, ma in altro modo che tuttavia conserva la stessa preziosità.

L’uomo infatti ha due modi specifici di accogliere, l’uno strettamente collegato all’altro: quello della predilezione e quello del lavoro

La predilezione è quella capacità che l’uomo manifesta ponendo al primo posto nella scala delle proprie priorità il prossimo, la vita nascente o la vita bisognosa. La predilezione è il primo sintono e segno dell’Amore. L’Amore è predilezione. Se così non fosse, non sarebbe vero amore[5]. La predilezione porta a quell’annientamento che pone in primo luogo le attese e i bisogni dell’altro. Così l’uomo è capace di quello svuotamento che lo porta a consumarsi nel lavoro[6] – secondo modo specifico di quest’amore – al fine di togliersi dal baricentro della propria vita e consumarsi per realizzare sogni che non gli appartengono direttamente ma che sono entrati nella sua vita grazie all’accoglienza di un “secondo individuo”.

«Perché l’amore che dà la vita è un amore che si esprime così: io non sono più il centro. L’amore è decentrarsi e togliersi di mezzo, perché chi stai amando diventa il centro»[7].

È l’esperienza di San Giuseppe, che svuota la propria esistenza dei progetti personali che aveva ideato per abbracciare il progetto, destinato principalmente a Maria. È l’esperienza di San Giuseppe che rinuncia alla propria naturale libertà per accoglie una vita nascente e per sostenere con il proprio lavoro i bisogni di questo nuovo prossimo. 

Scopriamo allora che se nella donna l’accoglienza è sinonimo di fertilità e di docilità all’amore, nell’uomo l’accoglienza è sinonimo di custodia del prossimo. Custodia tante volte silenziosa e anche incompresa di chi la “subisce”. Dove scorgere l’atteggiamento di custodia in San Giuseppe? Come Egli esercita il ruolo di custode? 

È il Vangelo la prima e autenticissima fonte in cui scorgiamo la custodia di Giuseppe, una custodia fatta non di parole ma di azioni. Egli esercita il suo ruolo: «Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù»[8].

Egli ogni qual volta si prospetta una necessità o un pericolo non esita ma «si alza, prende con sé il Bambino e sua madre, e fa ciò che Dio gli ha ordinato» (Patris Corde, 5). Non è forse questo il modo più manifesto con cui ci dimostra il suo atteggiamento di custode? Egli si prende cura di «Gesù e Maria sua madre [che] sono il tesoro più prezioso della nostra fede» (Patris Corde, 5).

In tal modo Giuseppe diventa anche emblema dell’affidabilità: «[E’] la persona più affidabile che sia mai esistita, diversamente Dio non gli avrebbe affidato le cose più preziose che possedeva: il bambino e sua madre»[9].

[Continua…] 

Fr. Fabrizio M. Formisano o.m.


[1] «Non è così importante concentrarsi e domandarsi perché vivo, ma per chi vivo. Imparate a farvi questa domanda: non per cosa vivo, ma per chi vivo, con chi condivido la mia vita». Papa Francesco, Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Thailandia e Giappone. Incontro con i giovani. Discorso del Santo Padre. 25 novembre 2019, consultabile all’URL: <https://tinyurl.com/y6z7t97o> (accesso il 08.01.2021).

[2] Ivi.

[3] Ibidem.

[4] «[S]a ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge». Papa Francesco, Santa Messa, imposizione del pallio e consegna dell’anello del Pescatore per l’inizio del Ministero Petrino del Vescovo di Roma. Omelia del Santo Padre Francesco. 19 marzo 2013 (in seguito=Omelia d’inizio del Ministero Petrino), consultabile all’URL: <https://tinyurl.com/y6p4pvfq> (accesso il 08.01.2021).

[5] «Dovremmo quasi dire che l’amore è l’esperienza della preferenza, del sentirci unici rispetto a tutto il resto. Nell’amore, una cosa non vale l’altra. Ci sono cose che valgono e cose che non valgono, nell’amore. […] Se un genitore dà a qualunque figlio le stesse cose, e non comprende che ogni figlio è unico e irripetibile e ha bisogno di ricevere, per così dire, in maniera simbolica, la propria tunica, con la propria taglia […] allora quel padre, quella madre, quei genitori stanno sì educando, ma di un amore che tirerà fuori molto spesso rancore e risentimento». L. M. Epicoco, Telemaco non si sbagliava. O del perché la giovinezza non è una malattia, San Paolo, Milano 2020, 73-75.

[6] «Il lavoro diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia». Patris Corde, 6, ______.

[7] L. M. Epicoco, L’amore che decide. Due meditazioni in un tempo di indecisioni, Tau Editrice, Todi 2019, 53.

[8] Papa Francesco, Omelia d’inizio del Ministero Petrino. 

[9] L. M. Epicoco, Qualcuno a cui guardare. Per una spiritualità della testimonianza, Città Nuova, Roma 2019, 129.

Orario delle Ss. Messe: Settembre – Giugno

Dal Lunedì al Sabato:

8.00 – 10.00 – 12.00 – 18.00

Domenica e festivi:

8.00 – 10.00 – 12.00 – 17.30 – 19.00

Ore 17.10 –  S. Rosario

Ore 17.00 – Diretta su nostri canali Youtube e Facebook

Orario delle Ss. Messe – Luglio e Agosto

Dal Lunedì al Sabato:

8.00 – 11.00 – 19.00

Domenica e festivi:

9.00 – 11.00 – 19.00

Ore 18.10 –  S. Rosario

Ore 18.00 – Diretta su nostri canali Youtube e Facebook

Chiusura del mese di maggio

180° Anniversario dell’Apparizione della Vergine Maria ad Alfonso Ratisbonne (1842 – 2022)

Venerdì 27 maggio

Ore 16.00: Recita dell’Ora di Guardia (Rosario della Conversione)

Ore 18.00: Supplica alla Madonna della Medaglia Miracolosa e S. Messa

Ore 19.00: Concerto Mariano eseguito dal Coro “Vergine del Miracolo”.

Direttore: Alessia Galli.

Organista: Francesco Cacioni.

Con la partecipazione di Giovanni Proietti Modi.

Sabato 28 maggio

Ore 18.00: S. Messa

Ore 19.00: Catechesi biblica a cura di P. Giacomo M. D’Orta“Il più sublime cantico di gioia: il Magnificat”

Domenica 29 maggio

Ore 19.00: S. Messa

Ore 20.00: Catechesi a cura di don Luigi Maria Epicoco“Ella parve mi dicesse: Basta così” – Il mistero della vita nuova con Maria

NON OCCORRE NESSUNA PRENOTAZIONE

APPUNTAMENTI DEL MESE DI MAGGIO 2022

Domenica, 1 maggio

SS. Messe ore 8, 10, 12, 17.30 e 19.

503° Anniversario della Canonizzazione di S. Francesco di Paola (1519)

210° Anniversario della nascita di Alfonso Ratisbonne (Strasburgo, 1812)

Mercoledì, 4 maggio

Nelle chiese dell’Ordine: Solennità di S. Francesco di Paola, Eremita e Fondatore dell’Ordine dei Minimi

Domenica, 8 maggio

Memoria della Beata Vergine del S. Rosario di Pompei – Giornata mondiale delle vocazioni – Festa della Famiglia

SS. Messe ore 8, 10, 12, 17.30 e 19.

ore 11.20: Rosario meditato e Supplica alla B.V.M. di Pompei – S. Messa

Domenica, 15 maggio 

Festa parrocchiale in onore di S. Francesco di Paola con Triduo di preparazione.

(Vedi programma a parte)

Lunedì, 16 maggio

ore 18.30: Incontro del Sinodo sulla beatitudine “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” a cura di P. Giacomo M. D’Orta.

Venerdì, 20 maggio

ore 17.20: Rosario animato dal Gruppo di preghiera “S. Pio da Pietrelcina”.

Al termine, preghiera per la glorificazione del Venerabile P. Pio Dellepiane dei Minimi, sepolto in Basilica.

Domenica, 22 maggio Memoria di S. Rita da Cascia, monaca agostiniana

SS. Messe ore 8, 10, 12, 17.30 e 19.

A partire dalle ore 8.30, sarà possibile ricevere le rose benedette di S. Rita

Venerdì, 27 maggio Giornata Mariana

ore 16: Ora di Guardia (preghiera del S. Rosario della conversione); Supplica alla Madonna del Miracolo e celebrazione eucaristica all’altare dell’Apparizione.

Martedì, 31 maggio Visitazione della Beata Vergine Maria

Dal lunedì al sabato

SS. Messe ore 8; 10; 12; 18

S. Rosario ore 17.10

Domenica e Solennità

SS. Messe ore 8; 10; 12; 17.30; 19

S. Rosario ore 17.00

Confessioni

ore 9-12\16-19

Ogni mercoledì

ore 18.40: Il Vangelo domenicale, a cura di Gianni De Luca

Ogni giovedì

ore 18.40: Adorazione Eucaristica comunitaria

Giornata Mariana Mensile – 27 aprile 2022

Oggi 27 aprile 2022, l’appuntamento mensile ai piedi dell’altare della Madonna del Miracolo.

La Supplica sarà recitata anche durante tutte le messe del mattino.

Alle ore 16.30 avrà inizio la recita completa del Rosario della Conversione (Ora di Guardia), alla quale seguirà la preghiera della Supplica.

ore 19.00 – S. Messa

VARIAZIONE ORARIO SANTE MESSE

ORARIO DELLE S. MESSE DEL 1 MARZO:

Ore 7 (TV2000), 8 (TV2000), 10, 12, 19 (TV2000)

ORARIO S. MESSE DAL 2 MARZO al 13 APRILE:

Dal lunedì al venerdì: 8 – 10 – 12 – 19 (TV2000)

Sabato: 7 (TV2000) – 8.30 (TV2000) – 10 – 12 – 19 (TV2000)

Domenica: 7 (TV2000) – 8.30 (TV2000) – 10 (Canale 5) – 12 – 17.30 – 19 (TV2000)

LE DIRETTE DAI NOSTRI CANALI FACEBOOK E YOUTUBE SONO SOSPESE FINO AL MESE DI MAGGIO

“FAMIGLIA, SCUOLA E SOCIETÀ”

Incontri con Pierluigi Bartolomei presso il Santuario Sant’Andrea delle Fratte per coppie in qualsiasi stagione del matrimonio

20 FEBBRAIO (ORE 20)
I cinque linguaggi dell’amore follow-up 

19 MARZO (ORE 15.30)
Babbo dove sei 

23 APRILE (ORE 20)
Telemaco e i giovani d’oggi 

N.B.: Le giornate del 22 maggio e del 26 giugno verranno
fatte in modalità di intera giornata, quindi
luoghi e orario verranno comunicati successivamente.

FUGGIRE LA MONDANITÀ: IL PROGETTO DI FRANCESCO DI PAOLA

«Santo Padre, […] quali sono le criticità della Chiesa di oggi?», «[…] oggi il male della Chiesa più grande, più grande è la mondanità spirituale, una Chiesa mondana. Un grande teologo, De Lubac, diceva che la mondanità spirituale è il peggio dei mali che può accadere alla Chiesa, peggio ancora che il male dei papi libertini […]»

Sono queste soltanto alcune battute della lunga intervista che Papa Francesco ha concesso al giornalista Fabio Fazio, durante la trasmissione “Che tempo che fa” andata in onda il 6 febbraio scorso. Una lunga intervista che ha toccato svariati temi e che non poteva ignorare l’interrogativo sul volto della Chiesa del futuro e sui mali di quella del presente. 

Ogni corpo vivente deve fare i conti con la sofferenza e talvolta con alcuni mali che mettono seriamente in discussione il suo crescere e persistere nella storia attuale. Questo è il caso della Chiesa, che come corpo vivente di Cristoè chiamata a fronteggiare i tanti mali che vorrebbero vederla esanime o, peggio ancora, priva di fede e di significato. 

Come bene ha evidenziato Papa Francesco, uno dei mali più crudeli che possa affliggere la Chiesa è la mondanità, ovvero il piegarsi allo spirito del mondo, il cambiare la propria mentalità passando da quella evangelica a quella in cui il Vangelo è scandalo e ribrezzo, quasi idiozia oppure facile nascondiglio dove coltivare i propri interessi. 

Vivere da mondani vuol dire adattarsi alla rilassatezza del mondo; adattarsi a quel mondo in cui i principi e i valori di una fede autentica, fondata e alimentata da Cristo, vengono visti come superati dall’evolversi dei tempi, privi di contenuto, da vivere nel privato, da combattere perché ostacoli ad una piena realizzazione dell’uomo o al raggiungimento di una vita felice. Vivere da mondano vuol dire non “militare più per il re celeste” (III Regola del Terz’Ordine dei Minimi (IIIRT), cap. I, 1) ma militare per il principe del mondo, alle condizioni da lui dettate e per interessi che allontanano dalla “speranza di entrare nella vita eterna” (IIIRT, I, 1). Questi sono soltanto alcuni esempi di come poter declinare il concetto di mondanità, ma ne esistono molti altri. 

Alcune modalità dell’essere mondani sono poi molto sottili ed ambigue: si vestono di bene ma in realtà non lo sono; purtroppo va detto che sono proprio queste modalità sottili che affliggono maggiormente gli uomini di Chiesa – che hanno dimenticato come fare il discernimento degli spiriti –, modalità subdole con cui il male li seduce e li conduce per altre vie.

Illuminati da questa brevissima, e non completa, spiegazione del termine mondanità – che speriamo in futuro di poter approfondire – non è difficile comprendere quanto questo male stia minacciando la vita autentica della Chiesa. Non è difficile comprendere l’urgenza che accompagna questo tema e la perentorietà che richiedono l’esigenza di ritorno ad una vita evangelica. Eppure va detto che, seppur anche con nuove modalità, questo male non è nuovo in seno alla vita ecclesiale. Periodicamente torna quasi come una febbre che, se non si è vigilanti, prende subito il sopravvento con il rischio di trasformarsi in malattia mortale. La mondanità è una minaccia per la vita di oggi ma lo è stata anche per la vita di ieri, e se non porremo subito rimedio potrebbe trasformarsi nella costante del domani. Questa costatazione in parte può gettare nello sconforto: “ancora non abbiamo imparato a fuggire questo pericolo?”, mentre dall’altra può essere di notevolissimo aiuto: “capiamo quale farmaco hanno usato i nostri padri e guariamo anche noi questo male!”, infatti la cura è sempre la stessa: fuggire la mondanità![1]

Volendo guardare al passato, facilmente ritroviamo le stesse problematiche nella Chiesa del XV secolo, il secolo di S. Francesco di Paola. Una Chiesa in cui la tensione evangelica si era allentata al punto da renderla quasi irriconoscibile, sotto alcuni aspetti e per alcuni valori. Una Chiesa in cui lo sfarzo e la mentalità del potere signorile del tempo si erano depositati, quasi come sottilissima polvere, sulla veste della santità. Una Chiesa in cui era necessario preservare i confini, guardare agli affari, non curarsi troppo dei valori di autenticità e di originalità della fede cristiana. Una Chiesa in cui la vita religiosa aveva perso il suo mordente perché si era fatta ammaliare dallo sfavillare delle fiaccole e dalle musiche assordanti del mondo, che proponeva il proprio cliché come condizione necessaria per avere rispetto.

In questo panorama, che può apparire esagerato e desolante, la Chiesa quale corpo vivente di Cristo ha sviluppato, mediante l’azione dello Spirito Santo, i suoi anticorpi! Ovvero i suoi modi per arginale il male e tornare ad una vita piena alla sequela di Cristo. Tra questi “anticorpi” figura, certamente, San Francesco di Paola e l’Ordine da lui fondato: l’Ordine dei Minimi; il quale già nel nome si propone di attuare il precetto dettato dal Redentore: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20, 25-26).

San Francesco di Paola comprese l’urgenza e la necessità di vivere autenticamente il Vangelo, senza riserve, senza edulcorazioni: vivere la radicalità del Vangelo per amore! È questa la medicina più forte! È questo lo scopo della sua vita: fuggire la mondanità per vivere in Cristo e soltanto di Cristo. Questo è il suo programma di riforma, che mette in atto nella sua vita e che si fa richiamo travolgente per quanti desideravano lo stesso cambiamento nella Chiesa. Va da sé che lì dove tutto sta scendendo nelle tenebre del mondo, un simile scopo di vita inizia ad emettere una luce nuova, ma che è antica, una luce inarrestabile, la luce del Padre delle luci, e così Francesco di Paola e la Regola da lui scritta tornano ad essere “luce per illuminare i penitenti nella Chiesa” (Bolla Inter Coeteros di Papa Giulio II con cui si approva la quarta Regola dell’Ordine dei Minimi – 1506). 

San Francesco di Paola, educato dalla famiglia ad una vita modesta e sobria, capì che per essere autentico seguace del Vangelo, per proteggere se stesso dall’agguato della mondanità, doveva tornare alla consuetudini dei Padri e così riprese le antiche abitudini dei Padri del deserto ovvero riprese uno stile di vita che si basava esclusivamente su Cristo, un modo di vivere che stima tutto inferiore a Cristo e che è disposto a rinunciare a tutto pur di raggiungere l’Amato. 

Dunque, riscoprì le pratiche penitenziali della Chiesa antica e le fece diventare il suo modus operandi, anzi le elevò a condizione necessaria per raggiungere il Paradiso per i suoi seguaci ovvero coloro che sono disposti ad impegnarsi attraverso il voto di vita quaresimale a vivere per tutta la vita i sentimenti di conversione, che la Chiesa sente maggiormente durante la quaresima; ovvero per coloro che “morti al mondo, ma vivi per Dio, e deposti i desideri mondani prestano costantemente un devoto e sincero servizio, illuminando la stessa Chiesa militante con molti doni di virtù e con il loro esempio attraggono alla lode della Maestà divina” (Bolla Inter Coeteros di Papa Giulio II – 1506)

L’invito che il Santo Paolano rivolge ai Terziari, i fedeli laici che scelgono di professare la Regola da lui scritta e di praticare il suo stesso stile di vita, risulta privo di ambiguità; anzi gode di quella chiarezza evangelica che porta a dire “si si, no no” davanti alle proposte del mondo che possono distogliere dalla sequela di Cristo. 

Scrive – San Francesco di Paola – ai Terziari Minimi: “Adempiendo in modo salutare il precetto salvifico del discepolo dell’amore privilegiato, non amate il mondo né ciò che è nel mondo. […] Fuggite […] in modo salutare le vanità del mondo e i suoi onori e i suoi vuoti fasti, la pompa e la gloria del secolo transeunte e le sue opere periture”. E continua: “Infatti, fallace è la gloria di questo secolo e fallaci sono le ricchezze. Ma sono senza dubbio felici coloro che pensano più a una vita virtuosa che a una lunga, e più a una coscienza pura che a un forziere pieno” (RT, IV, 10). Possiamo comprendere così come fuggire la mondanità, fuggire i rumores mundi, fuggire i fasti del mondo per abbracciare una vita in cui la coscienza si riconosca pulita davanti a Dio perché ha messo in pratica i precetti dell’Amore e della carità, non sia una questione di secondo ordine ma piuttosto una priorità da cui dipende la felicità, da cui dipende la pace, da cui dipende la via, da cui dipende il cielo. 

Queste sono soltanto alcune pennellate; sarebbe impensabile dire tutto in poche righe e racchiudere in un breve articolo la ricchezza e la profondità della spiritualità Minima. Strumenti per approfondire non ne mancano per chi vuole. È una spiritualità che lo Spirito ha suscitato nella Chiesa come farmaco per curare la stessa piaga che sta minacciando anche i nostri giorni: la mondanità.

Sappiamo qual è la malattia (mondanità), abbiamo già un farmaco (la spiritualità Minima), chissà che la guarigione non sia più celere. 

Fr. Fabrizio M. Formisano o.m. 


[1] Si badi bene che non si intende disprezzare il creato. Esso in quanto originato l’azione creatrice di Dio non può che essere buono. Fuggire la mondanità vuol dire rendersi impermeabili a quella mentalità che nel mondo è entrata a causa del peccato e che distoglie lo sguardo dall’Amore di Dio per volgerlo alla presunta onnipotenza dell’uomo. 

PADRE NELL’OBBEDIENZA – 2 parte

Destino? No grazie. Meglio: scelta vocazionale!

Torniamo a riflettere su come San Giuseppe e San Francesco possano essere di ispirazione grazie al titolo “Padre nell’obbedienza” (Cf precedente riflessione). 

San Francesco nasce secondo modalità prodigiose, così come ci raccontano le prime agiografie scritte dai suoi discepoli contemporanei. Nasce in una famiglia che viveva ardentemente la fede; sappiamo infatti che sia Giacomo che Vienna erano ferventi credenti in Dio e che vivevano nel sano e santo timore dell’Altissimo[1]. Tuttavia non dobbiamo credere ad una predestinazione di San Francesco fin dalla sua nascita. Faremmo grave torto a Lui e a Dio se credessimo a questo. 

Ma attenzione non vorrei essere frainteso quando parlo di “predestinazione”. È opportuno fare chiarezza. Nella vita quotidiana, quando siamo a confronto con i fatti che accadono, si fa largo nelle nostre menti il concetto che siamo predestinati[2] a qualcosa, che il destino sceglie per noi e che noi siamo soltanto degli attori che, in fin dei conti, recitano un copione già scritto da qualcun altro. Chi poi è un po’ più religioso, attribuisce la scrittura di questo copione al Creatore, così che noi siamo solo esecutori di un qualcosa che non dipende pienamente da noi, ma da Dio che diventa così origine di ogni bene, ma anche causa di tutti i mali. Tutto accade necessariamente per realizzare questo disegno il cui compimento è irrefrenabile e in cui noi non abbiamo scelto nulla. Questo pensiero è quanto di più sbagliato possa esistere.

Lo possiamo affermare in modo netto e senza nessuna ambiguità: il destino – come siamo abituati comunemente  a concepirlo – non esiste[3]!!! Esiste la Provvidenza che è cosa ben diversa[4]

Questa scusa che ci siamo inventati – il destino che l’uomo incolpa fin dalla notte dei tempi delle proprie sventure – vuol essere niente di più che una panacea contro il senso di colpa che scuote la nostra coscienza ogni qual volta commettiamo qualche assurdità. 

Dio non impone mai nulla a nessuno[5]! Bisogna fare attenzione a quel proverbio, che ogni tanto solca le nostre labbra e che dobbiamo colpevolizzare di una grave omissione. Esso recita così: L’uomo propone e Dio dispone, ma la sua corretta forma, invece, dovrebbe recitare: Dio inspira, l’uomo sceglie e propone secondo il suo piacere mentre Dio dispone secondo e per il suo bene (dell’uomo).

Ecco come funziona la cosa. 

Ogni uomo è libero di assumere le proprie decisioni indipendentemente da ciò che Dio gli ha ispirato[6]. Sarebbe un’ingiustizia se il Creatore ci avesse formati soltanto per essere simili a dei robot che compiono azioni le quali non sono manifestazione della loro volontà ma compimento di pensieri altrui. Altresì, considerato che l’Onnipotente non è ingiusto, possiamo benissimo dire che tutto ciò che una persona “è” si basa sulle sue decisioni e sui fondamenti che egli ha scelto e ha posto in essere. 

Detto questo, perché faremmo un torto a Francesco? Perché, se affermassimo che fin dalla nascita egli era destinato a compiere il progetto della vita quaresimale, annulleremmo tutto lo sforzo di discernimento vocazionale che egli ha fatto[7]. Dio lo ha lasciato libero di organizzare come desiderava la sua vita, tuttavia in questa libertà gli ha posto davanti un progetto ben preciso che lui liberamente ha voluto accogliere e fare suo. Queste righe potrebbero sembrare un’inutile digressione. In realtà, io credo, siano fondamentali per comprendere i “sogni di Francesco”. 

[Continua…] 

Fr. Fabrizio M. Formisano o.m.


[1] «In Italia ci fu un venerando Padre, chiamato Francesco di Paola […] Suo padre di chiamava Giacomo di Salicone, comunemente detto Giacomo di Martolilla. Sua madre Vienna. E benché appartenessero al secolo, vivevano tuttavia come religiosi». In un altro passo: «[I]noltre lo stesso Giacomo, si disciplinava ogni notte dinanzi alle chiese che sorgevano fuori della città di Paola e che egli visitava di notte. Non mangiava frutta; e, anche quando gli veniva qualcosa da mangiare, non la voleva ricevere, se non conosceva prima da dove venisse […]». Anonimo coevo, Vie et miracles de S. Francois de Paule Instituteur de l’Ordre des Freres Minimes (in seguito: Anonimo coevo francese), in G. Fiorini Morosini e R. Quaranta (a cura di), La vita di San Francesco di Paola raccontata dall’Anonimo discepolo contemporaneo nel testo originale francese ritrovato dal p. Rocco Benvenuto O.M., Rubbettino Soveria Mannelli 2019, 88-89.

[2] Sull’accezione di questa parola sarebbe bene soffermarsi, seppur non lo si può fare esaustivamente in questo contesto. Non intendo infatti la “predestinazione cristiana”, che ha ben altro senso e che trova luce nella Sacra Scrittura – in modo particolare nel Nuovo Testamento (Ef 1,5; Ef 1, 11; Rm 8, 28-30) – ma quel comune significato che nella quotidianità viene attribuito come “obbligatorietà” a compiere qualcosa, come a-responsabilità delle colpe derivanti dal libero arbitrio. 

[3] «Bisogna però fare attenzione: noi pensiamo che avere un destino significhi avere una trama già scritta, la trama della nostra storia. Ma questo è sbagliato: avere un destino non significa avere il viaggio spiegato, sapere come andrà questo viaggio, quali saranno le scelte di questo viaggio, che cosa ci accadrà in questo viaggio. […] Siamo noi a decidere come andrà il viaggio, siamo noi a fare le scelte». L. M. Epicoco, L’amore che decide. Due meditazioni in un tempo di indecisioni, Tau Editrice, Todi 2019, 24-25.

[4] «Chiamiamo divina Provvidenza le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione». CCC 302.

[5] «Dio ha creato l’uomo ragionevole conferendogli la dignità di una persona dotata dell’iniziativa e della padronanza dei suoi atti». CCC 1730.

[6] «Noi siamo liberi, abbiamo un destino, abbiamo una destinazione, ma siamo liberi di decidere il nostro viaggio. Siamo così liberi che delle volte possiamo decidere contro il nostro destino, contro questa destinazione». L. M. Epicoco, L’amore che decide. Due meditazioni in un tempo di indecisioni, Tau Editrice, Todi 2019, 25.